No all’estensione degli orari nei negozi!

Il Gran Consiglio Ticinese ha approvato una nuova estensione degli orari d’apertura dei negozi sulle spalle delle lavoratrici e dei lavoratori. Non sono passati nemmeno due anni dall’entrata in vigore dell’ultima modifica, che tornano alla carica con un’iniziativa parlamentare intrisa di ideologia neo-liberale.

Speziali, membro del consiglio di cooperativa di Migros Ticino, si fa portavoce dei padroni della grande distribuzione in parlamento e propone:

– Negozi con 400 m2 di superficie di vendita aperti 7 giorni su 7 in tutti i comuni considerati turistici, ossia 66 comuni, tutti i grandi centri urbani compresi.

– Per tutti i negozi del cantone aperture domenicali e i giorni festivi comparati alla domenica 4 volte all’anno invece di 3 e aperte fino alle 19.00 invece delle 18.00.

La maniera in cui la destra (PLR e metà del PPD) e l’estrema destra (UDC e Lega) ha argomentato la necessità della riforma è stata imbarazzante per quanto spudoratamente filo padronale.

Secondo loro le aperture la domenica servono:

– al turismo, ma poi dicono che il problema sono i ticinesi poveri che vanno a fare spesa in Italia;

– ad assumere personale, ma si sono sempre opposti a qualsiasi misura per contenere il precariato;

– a rilanciare l’economia, mentre il potere d’acquisto dei ticinesi sta colando a picco.

Le illusioni in cui si coccola la maggioranza del parlamento dimostrano che i borghesi non hanno ancora nemmeno lontanamente l’idea di cosa significa la crisi a cui andiamo incontro quest’inverno. Il Consiglio federale ci chiede di fare la doccia in due, mentre i negozi consumeranno energia un giorno in più a settimana, sebbene i clienti potenziali sarebbero sempre quelli.

Per noi del Partito Operaio e Popolare una deregolamentazione porterà a spezzettare maggiormente i turni di chi già adesso lavora e a nessun ulteriore posto di lavoro. Metterà ancora più in difficoltà molte famiglie che non riusciranno più a godere del tempo libero con i propri cari.

Continuare a fomentare l’idea che la liberalizzazione delle aperture dei negozi sia una panacea alla crisi a noi infastidisce perché si tratta di promuovere un’idea di sviluppo incentrata sul consumo e non sul lavoro.

Per queste ragioni noi sosterremo il referendum che con ogni probabilità lanceranno i sindacati.